Archivio mensile:febbraio 2013

NEMRUT DAĞI, PATRIMONIO DELL’UMANITÀ

 4961356591_c77da111ef_bHo voluto scrivere questo articolo per far conoscere uno dei “tesori” che il Medio Oriente conserva dell’antichità storica e che per importanza e bellezza è stato riconosciuto dall’UNESCO dal 1987 quale bene protetto e patrimonio dell’umanità[1]: parlo del santuario di Antioco I, sovrano di Commagene, un piccolo stato ellenistico del I secolo a.C.. Tale monumento, posto sulla vetta del rilievo del Nemrut Daği, non solo risulta importante per la sua maestosità e per la ricchezza architettonica e scultorea che lo compone, ma per il suo significato: esso doveva essere un grande santuario funerario e di culto, in cui si fondevano in maniera sincretica e armoniosa religioni dell’Occidente e dell’Oriente. In questo, la tradizione religiosa ellenistica si fondeva e si coniugava con quella dello Zoroastrismo del grande impero persiano, insieme agli elementi medio orientali ed estremo orientali che l’ellenismo aveva messo in comunicazione dopo la frantumazione del grande impero di Alessandro.

Lo hierothesion di Antioco I di Commagene è sito a 2100 m di altezza sulle vette della catena montuosa del Tauro Orientale, nell’area sud-orientale della Turchia. La montagna era visibile anche da chilometri di distanza e sovrastava le altre vette dell’altopiano[2] La struttura realizzata sulla cima della montagna era raggiungibile da vie processionali e consta di tre terrazze scavate nella roccia, di cui due complete, speculari tra loro, poste rispettivamente a nord-est e sud-ovest, e un’altra incompleta posta esattamente a nord. Al centro si erge il tumulo rivestito da ghiaia ricavata dal materiale scavato dalle tre terrazze.

La terrazza orientale, per grandezza e conservazione, è la più grandiosa tra le tre presenti nel sito. Addossato quasi al tumulo, si trova il podio su cui sono poste cinque statue colossali, le quali raffigurano Antioco I e quattro divinità sincretiche della religione ellenica e iranica: Tyche-Commagene, Zeus-Oromasdes, Apollo-Mithras-Helios-Hermes e Artagnes-Heracles-Ares. Accanto a questo gruppo scultorio dovevano trovarsi altre quattro statue, le quali rappresentavano animali guardiani, rispettivamente due leoni e due aquile[3].

Dietro alle statue delle divinità è presente un’iscrizione di 237 linee contenente la ieros nomos di Antioco e in cui vengono citati i nomi delle divinità raffigurate. Essa serviva a sancire la legge contenente gli atti da perpetuare all’interno del santuario al fine di garantirne il culto del sovrano e delle divinità presente[4].

Un secondo podio racchiuso tra le rampe che conducevano al cortile della terrazza conteneva cinque lastre scolpite a bassorilievo fiancheggiate da statue di animali protettori. I bassorilievi mostravano il re che stringeva la mano alle rispettive divinità, dexiosis. Su uno di questi era raffigurato “l’oroscopo di Antioco”: un leone colossale in bassorilievo sormontato dalle divinità di Ares, Zeus e Apollo rappresentate come stelle e quindi raffigurate con Marte, Giove e Mercurio, accompagnate dalla Luna che rappresenta la divinità femminile.

Nel livello del cortile sono presenti due altari posti davanti al complesso colossale e la galleria degli avi, costituita da due file di 2 m di lastre di arenaria, le quali dovevano rappresentare rispettivamente gli avi paterni e materni. Davanti a ogni lastra era posto un altare per commemorare l’avo e dietro era incisa un’iscrizione commemorativa con la titolatura del sovrano Antioco e l’avo rappresentato. In posizione centrale si colloca un grande altare monumentale dove presumibilmente si svolgevano le grandi cerimonie cultuali e su cui dovevano essere poste un rilievo raffigurante il sovrano circondato dalle statue degli animali protettori

Antioco nelle iscrizioni del Nemrut Daği adotta una titolatura particolare, profondamente ricca di significato e che manifesta il suo progetto politico e religioso: Antiochos Theos Dikaios Epiphanes Philorhomaios Philhellen. Tali epiteti attribuiscono al sovrano un grande ruolo poiché si marchia come il ‘divino’, lo ‘splendente’ e il ‘giusto’, amico dei Romani e dei Greci (Elleni).Questo tipo di titolatura è presente in tutte le iscrizioni del complesso.

La sacralità del luogo dello hierothesion traspare dal contenuto dell’iscrizione di ingresso della via processionale della terrazza orientale. In essa il sovrano apre le porte del suo santuario, sotto la protezione degli dei, a tutti gli uomini, per natura uguali, differenti solo per titolo e fortuna. Egli affida a questa stele il monito di comunicare agli impuri o a coloro che covano malvagità di non poter percorrere questa via, protetta dagli dei e dagli eroi beati.

Le divinità presentate risultano essere prodotto di un sincretismo tra la religione ellenica e quella iranico-persiana. Quella principale è Zeus-Oromasdes forma sincretica dello Zeus ellenico e della divinità persiana Ahura Mazdāh. Questa divinità seduta in trono, di maggiore importanza rispetto alle altre, rappresenta la sovranità e in accordo con la coniugazione tra la divinità greca, padre degli dei, e la divinità persiana della religione Zoroastriana, essa coincide con il dominio della sfera celeste, e quindi anche con la regalità.

La divinità Apollo-Mithras-Helios-Hermes si basa sul rapporto sincretico del concetto solare tra le divinità Apollo e Mithras legate tra loro dalla personificazione solare di Helios. Mithra, divinità assunta nello zoroastrismo ha un’origine indiana ed era associato ad Ahura Mazdāh, quale essere di luce incaricato di combattere il male. La mediazione con Hermes è dovuta probabilmente ad Apollo, poiché nell’astrologia orientale quest’ultimo era associato al pianeta Mercurio.

Artagnes-Heracles-Ares è la terza divinità sincretica del Pantheon di Antioco e gli dei di base sono accomunati dal carattere della guerra: Artagnes sarebbe la trascrizione greca della divinità dell’Avesta, Vǝrǝthragna, che nell’assimilazione allo zoroastrismo divenne la divinità della guerra e della vittoria, menzionato insieme a Mithra e associabile all’Ares greco e a Eracle, l’eroe della mitologia greca

Infine, l’ultima divinità rappresentata è la personificazione della Commagene, sotto la forma di Tyche-Commagene. Essa si unisce alla dea fortuna della religione ellenica e ciò è assunto dagli attributi di cui dispone: una cornucopia e un mazzo di spighe e frutta e il capo sormontato da un kalathos. La patria Commagene viene onorata nel pantheon del Nemrut Daği in quanto nutre e protegge il popolo del regno.

Nel pantheon del Nemrut Daği, lo stesso Antioco si inserisce in una forma divinizzata insieme alle altre quattro divinità e con gli attributi della tiara armenica, rappresentativa dell’autonomia e del potere della Commagene, e il barsom. Egli si fa destinatario in tal modo degli stessi onori riservati agli dei e questo rapporto paritario è presente anche nelle stele di fronte al podio delle statue colossali, dove il re stringe la mano della divinità, un gesto rituale forse di origine partica assunto per rappresentare questo stretto legame e la benevolenza e l’aiuto concesso dagli dei ad Antioco.

Il pantheon dello hierothesion era soggetto a festeggiamenti religiosi descritti nel nomos, inciso nel retro del podio colossale. In questa epigrafe furono trascritte le modalità di festeggiamento e le prescrizioni dettate dal sovrano: le celebrazioni nel santuario avvenivano in due giorni particolari dell’anno, il genetliaco del re, coincidente con il giorno consacrato a Mithra, e il giorno di ricorrenza della sua incoronazione. Questi festeggiamenti della durata di due giorni si celebravano nello hierothesion e in altri luoghi della Commagene. Se i festeggiamenti ufficiali si svolgevano una volta l’anno, i sacerdoti del santuario dovevano perpetuare tali cerimonie ogni mese.

Altro elemento fondamentale del culto istituito da Antioco è rappresentato dalla galleria degli avi: in essa erano rappresentati su due file gli avi paterni (15) e materni (17), con ai due capostipiti Dario il Grande e Alessandro Magno. Il culto degli antenati è presente nella tradizione dei regni ellenistici, ma la versione peculiare che crea Antioco risulta avere influenze iraniche, in particolare armene, poiché in tale culto egli non dà omaggio a un singolo avo, bensì all’intera dinastia

Il progetto religioso di Antioco attraverso tutti questi elementi si presenta come un atto sincretistico tra elementi della tradizione ellenistica ed elementi della tradizione iranica, armena, partica e persiana. Tutto ciò crea in Commagene un nuovo pantheon che incarna le ideologie di entrambe le tradizioni creando qualcosa di nuovo: il legame era rappresentato dall’elevazione del sovrano a figura divina. Ciò era giustificato non solo dalla sua legittimità a regnare, ma soprattutto dalla doppia radice dinastica onorevole a cui faceva riferimenti: la discendenza dalle due grandi stirpi, quella achemenide di Dario il grande, e quella macedone di Alessandro Magno. Erede di due radici e incarnazione della tradizione culturale di due popoli avevano lo scopo di coinvolgere tutta la popolazione mista del regno in modo che tutti i sudditi, greci e persiani, si identificassero in questi nuovi dei e con la Commagene.

a cura di Salvatore Ficarra


[2] Friedrich Karl Dorner, Nemrud Dag, in Enciclopedia dell’arte antica, classica e orientale, 1963, Vol 5. Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana: 409-413.

[3] Donald Hugo Sanders, et. al. (a cura di), Nemrud Dağı : the hierothesion of Antiochus I of Commagene : results of the American excavations directed by Theresa B. Goell, 1996, Eisenbrauns, Winona Lake (IN, USA).

[4] Margherita Facella, La dinastia degli Orontidi nella Commagene ellenistico-romana, 2006, Giardini editori e stampatori in Pisa, Pisa.

 

*immagine liberamente tratta da klearchosguidetothegalaxy.blogspot.it
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Cultura murata e poi sgomberata

(Rosso rugiada)

Bartleby BolognaUna manifestazione, qualcosa di estremamente ordinario ai nostri giorni. Eppure questa ha avuto un significato rilevante per la città di Bologna. Si scende in piazza per dire no al Nuovo Piano di Merola, le linee che il sindaco di Bologna vuole seguire per spostare gli studenti fuori dal centro della città. Perchè quello che lui progetta è di creare nella zona T 20 000 mq di shopping e cultura e sembra che il Bartleby non rientri tra queste due categorie. Quindi l’imperativo: spostarsi. Dove? Vicino all’Ospedale Maggiore, dove, a detta dell’assessore alle politiche sociali Frascaroli, ci si può arrivare comodamente in bici. Lasciando stare queste parole passiamo ai fatti. Mercoledì viene effettuato lo sgombero del Bartleby e gli attivisti accorsi in difesa del luogo vengono invitati a uscire a suon manganellate. Questa notizia ha un discreto impatto sulla popolazione bolognese e la foto della porta del Bartleby murata da mattoni fa il giro di Facebook. L’impatto è forte e viene subito lanciata una manifestazione per sabato 26 gennaio, tre giorni più tardi.
Il ritrovo è in Piazza Verdi ed alle 14, ora del mio arrivo, tante erano le persone accorse. Nei giorni successivi qualcuno parlerà di 1000 persone, qualcun altro di 500: in ogni caso erano veramente tante. Giovani, studenti e non, precari, ma anche adulti, anziani, persone che si sono sentite derubate dal Comune, e insieme avevano deciso di sfilare per le vie del centro. E nell’aria si percepisce gioia, entusiasmo. Tanti amici, compagni di viaggio per un pezzo di percorso, saluti, scherzi finchè arriviamo all’ex convento di Santa Marta. L’edificio di tre piani, con un ampio giardino all’ingresso, era stato svuotato una decina di anni fa, un’azienda si era aggiudicata l’appalto per la ristrutturazione del locale, qualche lavoro iniziato e poi più nulla. Un nulla che non è stato riempito in alcun modo, un vuoto nel centro di Bologna che c’è e viene occupato, a dispetto delle parole della Frascaroli che ha rassicurato i giovani dicendo che di posti in centro liberi non c’è ne sono. Un piccolo giro per l’edificio, vederlo tutto sarebbe stato impossibile perchè impraticabile, e poi mi lascio trasportare a casa di amici per la cena. Quella sera molti musei di Bologna rimanevano aperti fino a mezzanotte, ingresso era gratuito. Ne visitammo due, Palazzo D’Accursio e Archiginnasio, un piatto di pasta e si torna all’ex convento. Riesco a non perdermi l’ultima mezz’ora dell’assemblea: frasi che inneggiavano a realizzare l’occupazione del posto, parlavano della reputazione dell’amministrazione che preferisce tenere enormi posti sfitti senza evitare bugie (l’ex convento, negli anni della sua attività, era gestito dall’Asp, di cui la Frascaroli era vice-presidente), frasi retoriche ed una in particolare che mi rimase impressa:
“Lo spazio è grande, ci sarà posto per tutti e ognuno fa quel cazzo che vuole.”
Salutata da diversi applausi viene da me letta come un’apologia all’anarchia (il che mi riempie di gioia), di tolleranza, di rispetto, una proposta per evitare l’uso di giudizi. Dopo aver ricordato le difficoltà che ci saranno nell’utilizzare un posto del genere (senza acqua, senza elettricità, senza bagni) viene accesa la musica. I corpi si esprimono in danze quasi tribali mentre l’atmosfera si riempie di felicità oltre che di cannabis. Bologna è la seconda città italiana, dopo Torino, per presenza di Thc nell’aria, una battaglia, quella della legalizzazione, che sta venendo lentamente alla luce dai sotterranei.
I corpi iniziarono a muoversi, le vibrazioni iniziavano a scaldare l’ambiente (ovviamente il riscaldamento non era incluso nel prezzo), e piano piano il convento iniziò a cambiare volto. Un’atmosfera difficile da descrivere, io ho provato a farlo con una poesia, scritta la sera stessa. Il titolo è il colore che assunse quella serata: Rosso rugiada.

Batte forte il cuore rosso rugiada ci cammino
strizzo un sorriso in simpatia per amicizia in armonia
ammicco sorrido una nuvola in testa pioggia grigio
pensieri.

Bottiglia trasparente liquido bianco salute alla tua
sigaretta filtro cartina l’arriccio l’appiccio la spiccio
musica casse vibrazioni corpi campi energetici
il ritmo rimbalza cresce rimbomba trasforma
corpi anime disperse felici rese libere
accelerazione aritmia orgasmo.

Venne deciso di fare un reportage sul luogo, svelati i nomi dei protagonisti della sua storia, delle foto vennero scattate e appese all’esterno dell’edificio per mostrare alla cittadinanza le condizioni di quel posto. Che non c’era, seconda la Frascaroli. Fu una mia amica a intenderlo come una nave. Una nave sulla quale intraprendere un viaggio distaccandosi così dalla monotonia cittadina (non a caso i manifestanti si presentano come barbari, persone che non si riconoscono nei Piani di Merola. Il termine si riferisce molto probabilmente anche ad uno degli ultimi libri di Baricco, I Barbari, presentato in occasione della festa de “La Repubblica”, proprio a Bologna). Vengono già fissati degli incontri, si fa una ricerca di stampo filologico e si arriva a conoscere la figura della prottettrice del locale, Santa Marta, sorella di Maria e caratterizzata da uno spirito combattivo. La sera vengono invitati a suonare dei gruppi, musica latina, drum’n’bass, rap. Si balla, si canta, si pensa, si sogna. Finchè la nave viene affondata. Polizia che interviene, denunce, e torna di nuovo la quiete dopo questa tempesta. Si continua a studiare per gli esami, ci si incontra al 36 per studiare, si va al Lazzaretto la sera. Però il bisogno di un luogo per i giovani in centro, per questi barbari che pare abbiano disimparato a parlare il linguaggio di Merola, quello dello shopping, di una cultura imposta dall’alto, non è stato infranto. Ramon, accorso a Bologna per la manifestazione, non riesce a capire come è possibile che l’amministrazione elevi un muro contro gli studenti, loro che, in termini economici, rappresentano una delle maggiori fonti di guadagno per la città di Bologna. Eppure un accordo non c’è, i ragazzi annunciano altre occupazioni, il Comune sembra preannunciare sgomberi, la discussione sembra essere una via scartata da tanto tempo. Ma quel motore, quel desiderio, spinge sempre più persone a cercare delle navi per compiere quel tragitto. Forse l’isola non c’è, oppure non c’è ancora, forse è solo questione di punti di vista.

a cura di Vasily Biserov

*Immagine liberamente tratta da gruppo Facebook Bartleby Bologna
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AL BORDELLO

Accade, a volte, che Montmartre sia soltanto un luogo, inaspettato e mai concesso al reale. Un luogo come mille altri, un luogo che non concede direzioni nella geografia. Montmatre, come Christiania, come un suono che disperde impronte lungo il tragitto da percorrere. Città che disorientano insegne, strade sporche di vernice in cui bambini si puliscono nei tombini, metropolitane direzionate nel nulla più assoluto.
Accade, a volte, che un luogo sia soltanto un sogno, una fugace fantasia che utilizza la paura per pretendere realtà, mentre i risvegli vanno a dormire quando l’altra faccia della luna è soltanto una luminosa insegna al neon con suscritto: “Who killed Bambi?”. Non sempre le porte posseggono serrature, ma le chiavi tentano comunque di girare, spesso a vuoto, nell’aria, portate al collo come cappi, infilate nelle tasche, abbandonate nell’ovunque di una qualsivoglia prospettiva notturna.
La nudità è blasfema, nel momento in cui il peccato domina sulla bellezza.
La nudità è preghiera, nel momento in cui Dio possiede la lussuria.

“Ricordo ancora il solido profumo dell’inchiostro,
quell’odore di polvere da sparo che mi usciva dal naso”

La nudità è quel luogo circondato dalla bruma dell’enigma, quel volto celato dietro la maschera dell’eventualità, l’unica maschera indossabile da Chi accetta il rischio dell’intimità.
Desolation Row come la Parigi della Bella Epoque, come la Venezia passatista col suo Ponte degli Scalzi, come la Zurigo del Cabaret Voltaire.
Desolation Row come ogni stronzissimo istante in cui essere in un luogo equivale a fuggire, come ogni stronzissimo istante in cui la fuga non concede raggiungimento alcuno, come stronzissimo istante in cui non esiste nessuna geografia adatta per tracciare la linea immaginaria che collega sguardo al proprio riflesso o forma al proprio corpo.
Accade, a volte, di ritrovarsi spettatori in un Bordello pieno di figure e figuranti, in cui l’applauso non serve per placare gli animi, ma per liberare animali dalla propria educazione di raziocinanti umani.
Accade, a volte, che perdersi nella propria vertigine sia il sintomo di una rara malattia denominata: Libertà.
Accade, a volte, che una parola resti solo una parola, magari incollata al luogo del tempo.
Accade, a volte, che una parola resti solo una parola, magari incollata al tempo del luogo.
Accade, a volte, che non esistano divieti, che non sussista prigionia in moralità.
Nell’Eventualità che la bellezza sia il rimedio a sé stessa, la pelle d’oca diverrà nuova muta: la Nudità, musa, pretenderà posto in platea.

[sarà stato forse il pudore del reale ad aver ucciso Bambi?
a mio parere non è stato di certo il potere del sognare ad uccidere quel cazzo di capriolo]

“TEATRI VUOTI E INUTILI POTREBBERO AFFOLLARSI SE TU TI PROPONESSI DI RECITARE TE” [CCCP]

pazienza

C’è posto per i diavoli perfino in paradiso:
impudico bordello
in cui chi presenzia è colui
che
nell’assenza cela rifugio:
luogo geometrico su pianta instabile,
notte allegorica di candele al neon,
pavimento che abbraccia soffitto,
pareti che ballano scalze,
profumo di meraviglia, di maleodorante sudore:
una festa a tema, intima,
nella quale ad ogni invito
corrisponde sguardo perso,
altrove:
una descrizione analitica, ingannevole
se il barare è pretendere emozione:
Non-luogo sfida Non-tempo,
organizzando l’arena
tra voci distorte,
suoni di vetro
e pubblico in sbronza: triumvirato
da spiriti in silenzio,
threesome
di corpi deliranti:
angeliche figure dalla pelle scura
fatte di materia apparentemente organica
si dimenano sul palco
con moti ondulatori:
se cadranno finiranno nel limbo,
altrimenti un dizionario li cullerà per l’eterno:
nessuna filosofia nella foresta incantata,
oltre di quella c’è il teatro-quotidiano:
Chi attraverserà andrà incontro al risveglio,
Chi rimarrà rischierà l’illusione:
eppure, Chiunque, avrà cuore da curare
cosicché la mente non potrà mentire nell’osare:
Chiunque,
eppure,
avrà giusto ruolo,
senza mendicare attesa
pur di dar vita alla prova generale,
senza elemosinare tempo
pur di udire l’applauso finale:
ogni comparsa scompare
quando pretende protagonismo,
come nel reale fotografato-a-pennello:
dentro al bordello si continua a danzare,
nudi corpi di Vergini-scure,
duri corpi su cui il colore vorrebbe scivolare,
calici alzati al di sopra degli sguardi
quasi a condividere la sbornia con un Dio-bevitore,
ma astemio è il suono nella melodia
quando al nudo corrisponde la pornografia,
ubriaco è il lamento nell’armonia
quando al sarto è commissionato erotismo:
un’immensa figura dalle minime proporzioni
osserva, nel limbo,
gli inesistenti-istanti di animali-musicanti
mai dimenticando che non c’è tempo per il tempo,
né luogo in quel luogo,
è soltanto un punto di ritrovo
per insozzate anime
residenti
ove l’attimo è più fuggente del fiato trattenuto:
ironiche, smodate,
irriverenti nella loro stessa provocazione,
un tripudio di genio
in un’orgia di personaggi contenuti in un corpo solo:
Toulouse-Lautrec, fuggito da Montmartre,
tace, in quel piacere, di voluttà:
corpi massacrano corpi,
odori prendono parte alla mostruosità,
legno diviene sangue-saliva,
venature al posto delle vene,
pagliacci articolati con liquide movenze,
Donnacce con pene e squallidi Evirati,
ormoni calpestano colori verticali
tra pennellate di ciglia in plastilina
e bulbi accecati dal riflesso dell’eyeliner:
prosegue senza sosta il carteggio-umano:
esce un due di picche al barbiere di Siviglia,
l’ubriaco in fondo-stanza sputa fuori Jolly-manica,
un bambino di nome Alice ha un cappello troppo grande
perde la testa ancora prima di tagliarla,
boia fanno il giro-tondo
sulle note sgualcite di domande rimandate,
un Baro, finto Principe-ghirlanda,
accusato di non avere sangue rosso,
mentre specchi infranti diventano perfetti
dopo aver testato di non saper precipitare:
Iscariota bacia tutti
come Monello alla ricerca di un donatore-d’organi,
flagellando labbra con labbra
tranne a Colui che dona al bacio vile-lucro,
calunniandolo per non aver peccato,
imputandolo di non aver puntato:
“Sei solo trenta denari che camminano,
soltanto questo,
ma la storia non vorrà accettarlo”:
retrattili rumori incitano violenza,
arti umani deformati in strumenti,
continua la festa fino all’avvenire
quel giorno che nessuno conoscerà da mortale:
sulla tavolozza scompaiono figure,
le ombre si apprestano a pretendere il comando,
finestre chiuse dal fuori,
porte sigillate dal dentro:
il cielo appare prospettico
come affresco del Michelangelo sadomaso,
non basterebbero Eremiti giunti da Sodoma
a spiegare che è la solitudine a crear Mefistofele,
tutti si bagnano nel fiume Giordano
tranne l’Amleto con il teschio in mano:
perdigiorno trasformati in randagi
gustano alibi come privilegi,
perdinotte trasformati in miraggi
scolano enigmi come dono di Magi:
in fondo al calice l’asso di Fiori,
sotto al salice l’asso di Quadri,
ma, nel quadro, l’unico fiore è l’oleandro
e corpi si strusceranno ad esso
per privarlo del veleno,
eppure lingue cominceranno a dialogare
finendo a letto, nel manicomio-generale:
ora, nudi, saranno anche i vestiti,
mentre il Sarto comporrà la melodia del Barbiere
e quest’ultimo finirà di prender le misure:
Baro nella bara fingerà d’esser morto,
come il Mare più profondo
in una terra di pii-peccatori:
perfino agli spettatori spetterà posto in platea,
ma gli allori non basteranno
a dare ruolo al disincanto:
piogge cadranno, venti nasceranno,
l’atmosfera sarà delirio di pura Onnipotenza:
tutti saranno presenti nell’assenza,
tutti saranno assenti quando si condannerà la presenza:
l’omertà avrà il compito del risveglio
accusando gli elemosinanti per un posto in paradiso,
ma i disperati giunti nel limbo
continueranno a dar speranza a Miserabili-Hugo:
finché nel mazzo resteranno carte,
fin quando marzo non avrà mese:
al tempo l’enigma della geografia,
al luogo l’arcano della geometria:
ci sarà posto per Diavoli derubati del divino,
spazio stretto a commedianti
che sorseggiano buon vino:
al bordello non c’è ingresso né inganno,
tutto accade,
come accade il silenzio:
attimo di fuga senza carceriere,
infinito concluso prima d’iniziare:
casuale sarà destino,
destinata a fingere la casualità:
al bordello non c’è uscita né inganno,
tutto accade,
quando echeggia nel silenzio…

[ispido iconoclasta
fingerà, nella forma, di possedere evidenza]

[avida ambizione
condannerà, all’ombra, la negligenza]

vorace giungerà,
salmodiando,
il figlio, perseguitato,
dal disinganno…

tutto resterà, incollato al vizio,
come trasgressione
che non produce scandalo.

di Leonardo Selvetti

*immagine di Andrea Pazienza
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